mercoledì 19 dicembre 2012

Investire nel mini eolico, settore difficile ma interessante



Sul tema delle rinnovabili l’Italia è sempre stato un Paese controverso e particolarmente difficile. Mancanza di una programmazione energetica e ambientale di lungo periodo, poca chiarezza della normativa autorizzativa, difficoltà e complessità di connessione alla rete elettrica sono sicuramente i principali spauracchi che spaventano e allontanano gli investitori dal mini e medio eolico che invece, ad avviso dello scrivente, possono riservare piacevoli sorprese e possibilità interessanti.

Come tutto il settore delle rinnovabili in Italia, il mercato nasce nel 2003 con il D.Lgs 387, ma si deve aspettare la prima metà degli anni 2000 per vedere la concreta possibilità di installare turbine di medio-piccola taglia. Da allora il mercato e la normativa hanno avuto una forte evoluzione e oggi possiamo tranquillamente affermare che per i prossimi anni esso rappresenterà un importante traino nel settore della produzione di energia da fonte rinnovabile (si veda anche lo speciale tecnico di QualEnergia.it sul minieolico, ndr).

Proviamo a fare una valutazione delle potenzialità di questo mercato in Italia alla luce delle novità degli ultimi mesi. Innanzitutto andiamo ad analizzare le soluzioni oggi sul mercato.

Le taglie più diffuse sono essenzialmente tre che per comodità definiremo micro-eolico (turbine con potenza paragonabile ai 10-11 kWp), minieolico (turbine della potenza di 50-60 kWp) e medio eolico (essenzialmente turbine della potenza di 200 kWp).

La prima fascia (microeolico) presenta a sua volta una possibilità interessante sotto i 6 kWp che può essere considerata una taglia “famigliare” e presenta una fascia incentivante omogenea fino ai 20 kWp. Le soluzioni tecniche adottate per il microeolico sono indirizzate soprattutto a contenerne i costi. La produzione è tendenzialmente scarsa in quanto le turbine di piccola potenza sono installate in prossimità dello strato turbolento che per comodità si considera terminare intorno ai dieci metri dal suolo. Per aumentare le produzioni si usano materiali molto leggeri o ampie superfici alari.

Il mercato si è tendenzialmente orientato quindi verso l’introduzione di turbine ad asse verticale che, per le loro caratteristiche tecniche, meglio si adattano a lavorare negli strati turbolenti o verso turbine comunque di grandi dimensioni nonostante la piccola potenza. Oggi quindi taglie inferiori ai 10 kWp possono rappresentare una buona soluzione tecnico-economica per il piccolo investitore che ha come obiettivo il bilanciamento della propria spesa energetica. Se invece l’investimento è fatto per avere una piccola remunerazione allora ci si deve orientare verso soluzioni più performanti. In prima istanza quindi sollevarsi da terra e ampliare l’apertura alare.

Lo standard di fatto è oggi rappresentato da tre altezze medie, 18, 24 e 30 metri. Capire quando orientarsi per l’una o l’altra non è facile e uno studio anemologico, seppur preliminare, permette di capire meglio i costi-benefici di una torre più alta.

Sul mercato si trovano sia turbine bipala che tripala di produzione italiana, europea o extra-europea con ottime caratteristiche e soprattutto una buona storia aziendale alle spalle. Su queste taglie incide in maniera molto importante anche la cantieristica e la gestione della turbina nel tempo.

Posto che non esiste una turbina a zero manutenzioni, le soluzioni tecniche adottate dai costruttori si sono orientate verso preponderanza dell’elettronica di supporto o della meccanica. Anche qui la scelta dovrebbe dipendere dalle caratteristiche del sito. Una turbina con molta elettronica permette un controllo fine e accurato, ma anche competenze non banali. Una turbina meccanica richiede interventi classici e semplici, ma l’ottimizzazione rispetto al sito non è spinta. Il nostro suggerimento è sempre lo stesso e cioè di farsi consigliare da un referente di fiducia con esperienza su più taglie e più modelli.

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